I premi 2024 del Giornale dell’Arte • Il museo • Citterio

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I premi 2024 del Giornale dell’Arte • Il museo • Citterio

Come ogni anno, la redazione ha scelto la mostra, il museo, la persona e il libro più importanti o significativi

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Una veduta di una sala di Palazzo Citterio © Walter Vecchio

Nessuno sinora l’ha potuto ammirare, ma il fatto stesso che finalmente venga aperto al pubblico appare un miracolo...

Perché assegnare il Premio a un museo che nessuno, sinora, ha potuto vedere (il premio è stato assegnato prima dell’inaugurazione, Ndr)? Perché il fatto stesso che quel museo s’inauguri ha del miracoloso. Sono passati 52 anni, infatti, da quando nel 1972 l’allora soprintendente di Brera, Gian Alberto Dell’Acqua, su pressante suggerimento del direttore della Pinacoteca Franco Russoli (presto a sua volta soprintendente) siglò l’acquisto di Palazzo Citterio, l’edificio a pochi passi dal Palazzo storico di Brera che avrebbe dovuto ospitare le collezioni di arte (allora) contemporanea, portando così il museo fin dentro il Novecento.

Cinquantadue anni durante i quali il progetto vagheggiato da Russoli della «Grande Brera» ha affrontato ogni sorta di peripezia, in un percorso costellato di progetti architettonici abbandonati; di collezioni promesse, come quella di Gianni Mattioli, che per i ritardi prendevano altre vie (ora è depositata al Museo del Novecento di Milano); di minacce da parte degli eredi di chi aveva donato i propri tesori a Brera (le famiglie Jesi e Vitali) di ritirarli per l’inosservanza delle disposizioni dei donatori. E molto altro ancora. Illuminante la cronistoria: acquisito nel 1972 il settecentesco Palazzo Fürstenberg (poi Palazzo Citterio dal nome dei successivi proprietari) in via Brera 12 e 14, toccò agli architetti Giancarlo Ortelli e Edoardo Sianesi il compito di progettarne gli spazi, non con una destinazione espositiva ma con funzioni «a sostegno delle attività di cura e tutela». In parte finanziato nel 1975, il progetto cambiò più d’una volta, fino al 1981. Nel 1984 il palazzo venne aperto, incompiuto, per una mostra di Alberto Burri, mentre nel 1985, grazie al finanziamento di un miliardo di lire, si riavviavano i lavori per la «Grande Brera» sognata da Russoli (che intanto era scomparso nel 1977, a 54 anni). Fu Ennio Brion, presidente degli Amici di Brera, a chiamare nel 1986 il celebre architetto britannico James Stirling per il nuovo progetto di Palazzo Citterio. Approvato il progetto nel 1989, i lavori si avviarono nel 1991, ma ci furono altri intoppi e tra il 2001 e il 2003 il tutto fu progressivamente ridefinito.

Si arriva così al 2004, quando Giuliano Urbani, ministro per i Beni culturali, e Letizia Moratti, ministro per l’Istruzione, Università e Ricerca, delineano un nuovo assetto per la «Grande Brera», con il trasloco delle attività didattiche dell’Accademia di Brera in un’apposita costruzione alla Bovisa, accanto al Politecnico. Uno sponsor avrebbe finanziato il progetto della nuova Pinacoteca, affidato allo Studio Bbpr. Non se ne fece nulla, anche per la resistenza dell’Accademia allo spostamento fuori dal centro storico. Ma ecco che nel 2009 l’allora ministro Sandro Bondi rilancia l’idea della «Grande Brera». Tocca all’architetto Mario Bellini ideare l’ennesimo progetto, che prevede il recupero di ciò che resta della Chiesa di Santa Maria di Brera, un nuovo percorso del museo, nuovi servizi per il pubblico e il collegamento con Palazzo Citterio attraverso l’Orto Botanico. Con una provocazione: coprire con un soffitto in vetro il cortile della sede storica. Nulla.

Seguono nuovi anni di silenzio fino al 2012, quando arriva un finanziamento di 23 milioni di euro. In vista di che cosa? Ma della «Grande Brera», ovviamente! In quell’occasione, come ci spiegava nel 2013 l’allora direttore regionale del Ministero, Caterina Bon Valsassina, Palazzo Citterio ritrova la sua centralità («la parte più consistente del finanziamento è stata destinata a Palazzo Citterio, per provvedere in modo definitivo alla sua rifunzionalizzazione e al restauro»). Anche allora, a dispetto dei suoi sforzi, qualcosa s’inceppa.

Nulla di fatto fino al 2015-18, quando il palazzo viene restaurato dalla Soprintendenza (guidata da Antonella Ranaldi). Presentato alla stampa e al pubblico nel maggio 2018, il palazzo appare alquanto misero e mesto, con una scala d’accesso che Philippe Daverio definisce «una scala condominiale» e numerosi problemi segnalati in un cahier de doléance dall’allora direttore generale James Bradburne, che con la Soprintendente ingaggia una sorta di educato ma tenace braccio di ferro: solo nel marzo 2019 l’edificio viene consegnato alla Pinacoteca, che lo riceve «senza avere mai potuto verificare alcunché» (parole di Bradburne, seccamente smentite però dalla soprintendente Ranaldi). Passano altri mesi: intervistato da chi scrive nel febbraio del 2021, Bradburne (che nel frattempo aveva proposto di spostare l’ingresso di Palazzo Citterio dal 12 al 14 di via Brera e di costruire qui uno spettacolare scalone di vetro, forando però varie solette: soluzione staticamente impraticabile, si sarebbe stabilito in seguito) dichiarava con ottimismo che Palazzo Citterio sarebbe stato inaugurato entro il 2022. Non accadde allora e non sarebbe accaduto prima dello scadere del suo mandato, alla fine del 2023.

Accade ora, a meno di un anno dall’insediamento dell’attuale direttore generale Angelo Crespi che, avviati nello scorso giugno i lavori di stabilizzazione di una parte dell’edificio (completati in ottobre), affidava intanto all’architetto Mario Cucinella (Compasso d’Oro 2024 per il Museo d’Arte Fondazione Luigi Rovati di Milano) il progetto di allestimento di Palazzo Citterio e delle collezioni Jesi e Vitali (l’ordinamento è opera di Marina Gargiulo): due superbe raccolte che da sole basterebbero a giustificare il Premio di «Il Giornale dell’Arte», mentre tutti confidiamo che un architetto colto e raffinato come Cucinella abbia saputo dare una veste più accattivante all’ingresso e all’appartamento del primo piano dove le due collezioni trovano finalmente casa.