Grande Brera, il sogno di Milano è realtà dopo 50 anni

Pubblicato
07
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12
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2024
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Grande Brera, il sogno di Milano è realtà dopo 50 anni

Nasce la Grande Brera a Milano  al Museo di Palazzo Citterio. (Stefano Porta / LaPresse)
Nasce la Grande Brera a Milano al Museo di Palazzo Citterio. (Stefano Porta / LaPresse)

Milano, 1972: il soprintendente Gian Alberto Dell’Acqua acquista per lo Stato il settecentesco Palazzo Citterio, a pochi passi dal Palazzo storico di Brera e per Franco Russoli, allora direttore e presto a sua volta soprintendente, si concretizza (almeno così pareva) il sogno di portare la Pinacoteca sin dentro il ‘900, dando vita al progetto lungamente sognato della «Grande Brera».

Milano, 7 dicembre 2024: Palazzo Citterio s’inaugura con due superbe collezioni di arte del XX secolo: la raccolta di Emilio e Marisa Jesi, donata dalla coppia, e quella di Lamberto Vitali, lasciata a Brera dal collezionista scomparso nel 1992. Di quelle che Russoli aveva notificato, destinandole proprio a Palazzo Citterio, solo la Jesi è qui: quella di Gianni Mattioli nel frattempo è stata depositata dall’erede al Museo del Novecento di Milano, mentre la collezione Jucker fu acquistata nel 1992 dal Comune e ora è nello stesso (bellissimo) museo.

Fra le due date, 52 anni di passione -nel senso evangelico della parola- fatti di progetti approvati e poi mai realizzati, di cambi di destinazione delle diverse aree, di restauri discutibili, di inciampi legali, di stop e di ripartenze.

Da oggi, giorno di sant’Ambrogio, Palazzo Citterio è una realtà, dopo una corsa affannosa contro il tempo compiuta dall’intero staff della Pinacoteca di Brera sotto la guida del direttore generale (insediato il 15 gennaio scorso) Angelo Crespi. Che ha ricevuto la pesante eredità del restauro non proprio felice condotto tra il 2015 e il 2018 dalla Soprintendenza. E se certe realtà (per tutte, la modesta scala di accesso) non si sono potute sanare, a risolvere l’iniziale tristezza del grande appartamento al piano nobile, destinato alle due collezioni, ha provveduto Mario Cucinella, Compasso d’Oro 2024 per il progetto del Museo d’Arte Fondazione Luigi Rovati di Milano, che ha restituito eleganza e funzionalità a quegli ambienti disegnando le teche e il grande tavolo metallico per i pezzi archeologici Vitali e sostituendo al bianco glaciale delle pareti una tavolozza studiata per valorizzare le opere. Opere magnifiche, che figurano da tempo su tutti i manuali di storia dell’arte: dopo il salone d’accesso, che con Fiumana di Pellizza da Volpedo, diretto antecedente del Quarto stato (fu donato in anni lontani a Brera da Angelo Abbondio e rimase lungamente nei depositi), e con altre opere dell’ultimo ‘800 crea un raccordo con le collezioni della Pinacoteca, ferme alla metà di quel secolo, si entra nel mondo Jesi e Vitali, imbattendosi dapprima nei 79 capolavori Jesi: opere miliari di Boccioni (il duplice Autoritratto, la Rissa in galleria, il bozzetto della Città che sale), Severini, Carrà, Modigliani, Arturo Martini, Marino Marini, de Pisis (una quantità: erano nella loro camera da letto). E Morandi, amatissimo dai collezionisti, rappresentato da 13 opere sceltissime, che dai commoventi Fiori del 1916, attraverso la breve, rara e preziosa stagione metafisica, giungono fino alle celebri Nature morte. E poi, il lungo corridoio dedicato al Sironi dei suoi anni più felici, al Carrà metafisico, a Scipione e Mafai, cui si aggiungono un’opera di Braque e un tragico Picasso, Testa di toro, 1942: piena guerra. Dopo è la volta della eclettica, preziosissima collezione formata da Lamberto Vitali, che fu sì amico e uno fra i più profondi conoscitori di Morandi ma che, animato com’era da una cultura vasta e da un’implacabile curiosità intellettuale, raccolse vasi predinastici egizi e oggetti micenei, ritratti del Fayyum e mosaici medievali, tavole su fondo oro e tele dei Macchiaioli e, naturalmente, opere di Morandi, tutte ai massimi livelli qualitativi, dal poetico paesaggino del 1911 alla celebre Natura morta con tavolino rotondo, 1920, ai dipinti degli anni ’40. Cui si aggiunge il famoso Enfant gras di Modigliani. Ma attenzione: c’è anche un disegno di Leonardo, una Testa virile di profilo del 1510-1511, riconosciuta da Vitali e confermata come tale dai massimi esperti mondiali. Nelle ultime due sale, ci s’imbatte poi nella curiosa collezione di Cesare Zavattini di micro-autoritratti di artisti del XX secolo; nel drammatico ciclo delle Fantasie di Mario Mafai, 1939-1942, e donate da Aldo Bassetti, e nei dipinti realizzati nel 1929 da de Chirico, Savinio e Severini per il grande mercante parigino Léonce Rosenberg.

Palazzo Citterio offre ora, però (finalmente), anche due nuove aree espositive: una è la Sala Stirling, ipogea, dove Mario Ceroli, indomito ottantasettenne (e grande artista, che tutti conosciamo) ha creato con la curatela di Cesare Biasini Selvaggi la potente mostra-installazione site specific intitolata La forza di sognare ancora che in primavera si trasferirà alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, andando a costituire il nucleo più recente della grande mostra a lui dedicata. L’altra, all’ultimo piano, ospita fino al 10 marzo la mostra La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze, curata da Luca Molinari, che racconta la storia di Brera dal 1300, quando qui, intorno alla chiesa di Santa Maria in Brera, c’era la comunità degli Umiliati, giù lungo i secoli fino ai giorni nostri: tutto l’incredibile palinsesto storico, artistico, architettonico, scientifico stratificato in quest’area in cui, oltre alla Pinacoteca, alla Biblioteca Nazionale Braidense e all’Accademia di Belle Arti, convivono altre cinque istituzioni culturali, quasi tutte dotate di ricchissimi fondi librari e archivistici, come l’Osservatorio Astronomico (qui il suo direttore, Giovanni Virginio Schiaparelli, disegnò nel secondo ‘800 la prima mappa di Marte), l’Orto Botanico, l’Istituto per le Scienze e le Lettere, gli Amici di Brera e la Fondazione Ricordi. Una mostra di documenti, immagini storiche, modelli; ma non si pensi a qualcosa di specialistico, perché il curatore e l’allestimento (di Francesco Librizzi) le hanno conferito un’impensabile attrattività.

C’è poi la contemporaneità, con la vertiginosa opera (delle collezioni di Meet-Digital Culture Center, Milano) generata con l’IA dal celebre artista digitale Refik Anadol, esposta nel ledwall dell’ingresso. Mentre un’altra «incursione» di Cucinella è il «tempietto» ligneo (donato dal Salone del Mobile) costruito nel cortile di Palazzo Citterio, che evoca il tempio dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, in Pinacoteca: una presenza un po’ incombente per dimensioni ma utile per offrire una sosta a chi lo vorrà (sarà un passaggio urbano aperto a tutti) e -anche- per distrarre lo sguardo dalle pareti disadorne del cortile del palazzo.